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Anthologia dei miei pensieri

[19/3/2023] Attenzione alle immagini

Pochi giorni fa, mi sono imbattuta in un post pubblicato da una pedagogista, che proponeva di sottoporre ai bambini (di quale età?) un'immagine disegnata in stile fumetto: un uomo coricato su una donna, nudi, dove era rappresentata in trasparenza la zona genitale di entrambi, in cui si poteva chiaramente vedere il pene all'interno della vagina. I commenti - di adulti ovviamente - erano "Che tenera immagine", oppure "Bellissima, la farò vedere al mio bambino", e anche "Dolcissimi"... L'immagine era proposta per affrontare il tema della procreazione (come si fanno i bambini?), su cui molti, nell'età della scuola dell'infanzia e della scuola primaria, iniziano a fare domande, specialmente se arriva un fratellino o una sorellina. 

Ora, certamente è necessario non arrivare impreparati a questi quesiti, e da subito è necessario che i genitori abbiano presente la possibilità di dover dare risposte adeguate a ciò che il "sistema digerente" della mente del bambino è in grado di ricevere. Dare risposte "indigeste", cioè sproporzionate alle possibilità di comprensione del bambino (per età anagrafica, per età cognitiva, per età emotivo/affettiva...) diventa quasi una violenza, poiché trascina il bambino forzandolo su lidi di pensiero che ancora non è pronto ad affrontare. Non tutti i bambini hanno la medesima sensibilità, non tutti i bambini hanno bisogno delle stesse risposte.

Detto ciò, c'è un altro punto assolutamente critico che questo post mi ha evidenziato: la supponenza ottusa con cui tanti adulti non si rendono conto dell'evidenza. Mi spiego. Se un bambino di 4 anni arrivasse dalla mamma, dal papà, dalla maestra, con un disegno che ritrae un uomo e una donna nudi, in cui si veda il pene inserito in vagina, come minimo (come minimo) scatterebbe un allarme, una preoccupazione: come fa un bambino ad avere accesso a contenuti concettuali (e pure PRATICI!)  che ancora non gli competono? Come può disegnare contenuti a cui ancora, nella prassi, non può accedere, (per una miriade di motivi che mi rifiuto qui di elencare per la loro ovvietà)? Se lo disegnasse un bambino, ci preoccuperemmo, e giustamente. E come mai noi, adulti con il cervello di gallina (scusate), ci sentiamo in dovere di propinare queste immagini a bambini che non sono ancora adulti? Chissenefrega (scusate ancora) se il disegno è acquerellato, dolce, tenero, carino, fumettato...

Il contenuto è volutamente esplicito. Ed è come dare un piatto di lasagne ad un neonato di 15 giorni. Se lo fate, vi mandano i servizi sociali.

Allora, e concludo, qui la questione mi pare si possa affrontare in questi termini:

1- Considerare l'età del bambino e la domanda che fa. Molto spesso la domanda è "Come nascono i bambini?" ed afferisce alla curiosità di sapere come escono dalla pancia della mamma, non sul come vengono concepiti. E già qui dobbiamo stare attenti. E si può calibrare la risposta ponendo una domanda al bambino che pone la domanda: secondo te? ti sei fatto un'idea? Se il bambino è nell'età della scuola dell'infanzia, se è alle elementari, se è alle scuole medie, si risponde in modo differente naturalmente, anche a seconda delle conoscenze anatomiche che pian piano ha acquisito (si spera in famiglia).

2- Si può partire considerando l'anatomia corporea, e questo dovrebbe far parte di quella educazione di base che i genitori - conoscendo la sensibilità dei propri figli, conoscendo la loro maturità cognitivo/affettiva - offrono ai loro bambini e ragazzi. Già nell'ultimo periodo delle scuole elementari i bambini sono curiosi di sapere meglio e nel dettaglio come funziona il corpo maschile e come funziona il corpo femminile. Si può con delicatezza stare attenti alle domande che giungono senza indurre argomenti su cui i bambini non mostrano interesse. Altrimenti diventa una forzatura, una induzione che non rispetta i tempi del bambino. 

3- Creare un clima di fiducia, di positività, senza malizia, in cui i bambini sappiano che possono fare domande senza mettere in imbarazzo i genitori. Mostrare immagini di come è fatto il corpo maschile e di come è fatto il corpo femminile può essere utile nell'età delle scuole elementari, anche se sono convinta che non ce ne sia bisogno, dal momento che quando si va a fare la pipì alla scuola dell'infanzia si ha continuamente l'occasione di vedere che maschi e femmine sono fatti diversi... Ma resta il fatto che un conto è mostrare un'immagine delicata e decorosa sul corpo maschile e su quello femminile, un conto (su cui ribadisco il mio disaccordo, per i motivi che ho già condiviso) è mostrare un'immagine dell'atto unitivo sessuale.

In conclusione: cerchiamo di essere in ascolto, di conoscere i nostri figli, di renderci disponibili al dialogo, di lavorare su noi stessi se percepiamo di avere imbarazzo su alcuni argomenti: perché? cosa mi blocca? Sta lì il segreto di una comunicazione empatica, a tutti i livelli e anche su questo argomento.


[13/1/2023] "La mia mente è ancora piccolina, io non capisco queste cose"

C'è una bimba di 11 anni e c'è sua sorella, di quasi 7. La prima parla ad alta voce di quello che sta studiando in geometria: la seconda interviene in risposta, dicendo: "La mia mente è ancora piccolina, io non capisco queste cose".

Probabilmente la maggior parte di noi non avrebbe posto attenzione a questa frase, detta quasi sotto voce. Eppure a me pare davvero così saggia, così profonda, così degna del mio ascolto, da avermi fermata. A ripeterla nella mia mente, più e più volte. Quanta ammirazione in una vocina così piccola, eppure già così grande. Si chiama umiltà, si chiama consapevolezza, si chiama senso di realtà, si chiama accettazione di sè, si chiama percezione del proprio status e della caratteristica dell'essere umano, in divenire. Quanti di noi, che credono di essere adulti, di essere grandi, hanno una capacità - cioè una capienza - nel percepire il reale senso di sé, decisamente più limitata e irrigidita da un ego che per difendere qualcosa, perde la possibilità di flettersi e ri-flettere su di sé... Siamo grandi quando siamo piccoli, si diceva. Siamo adulti quando abbiamo una buona capacità di percepire la realtà sempre più decentrati dalla nostra prospettiva limitata. Riconoscere il limite è la méta della saggezza, è sapere di non sapere per dirla con Socrate. Sapere a quasi 7 anni, di avere una mente ancora piccolina, è una profondità che tanti grandi non raggiungono perché sono troppo concentrati sul proprio ego, che si gonfia nella misura in cui credono di non essere piccoli

Auguro a tutti noi, che abbiamo superato la maggiore età, di non crescere solo in età, ma anche in piccolezza.


[7/1/23] REPETITA IUVANT: Le cose ripetute giovano...

"Ma gliel'ho già detto!", oppure "Gliel'ho già detto più di una volta!" oppure "Gliel'ho già detto tante volte!"...

Quando genitori, insegnanti o educatori vengono a cercare un aiuto nel mio studio, capita spesso che utilizzino una di queste espressioni, per dirmi che -nella relazione con i bambini e i ragazzi di cui si prendono cura- ormai hanno perso la pazienza. Per dirmi che sono stanchi di ripetere, di dire ancora e ancora le stesse cose. Qualcun altro mi dice che come stile educativo ha quello di ripetere gli ordini ai figli o agli alunni, molte volte, perché "Così gli entra in testa".

Ci sono alcuni pensieri che vorrei condividere, rispetto a queste modalità di vivere il percorso educativo.

Il primo pensiero è questo: ringraziamo i bambini e i ragazzi che abbiamo davanti, perché ci consentono di lavorare su noi stessi, sui nostri limiti, per dilatare il serbatoio della pazienza, per imparare modi garbati di dire le cose anche alla centesima volta, per non lasciarci travolgere dal nostro nervoso e diventare invece capaci di possederci, cioè di avere una consapevolezza sempre maggiore, sempre più profonda di noi stessi... 

Il secondo pensiero è questo: se avete in casa una pianta, e chi ve la dona vi dice che è unica al mondo, e che è nelle vostre cure la speranza di questa pianta di poter sopravvivere e vivere, che ha un valore inestimabile e non è possibile calcolarne il prezzo, quanta cura mettereste nel cercare di conservare ogni giorno le condizioni ottimali e favorevoli alla sua esistenza? Quanto stupore vi coglierebbe nel sapere che dovrete garantirle luce, calore e acqua ogni giorno? Forse pensereste "Ma...e basta?". Ecco, con i nostri bambini, con i nostri ragazzi è necessario avere nel cuore la certezza che si tratta di persone uniche al mondo. Quanta cura ci vuole per ciascuno di loro...

Il terzo pensiero è questo: ogni giorno annaffierete la pianta con gli stessi gesti, gli stessi movimenti, più o meno agli stessi orari. L'acqua che darete non sarà però sempre la stessa, sarà sempre nuova. E non penserete "Bè, gliel'ho già data per tre giorni di fila, adesso siamo a posto". E come mai dovremmo pensare che a un bambino, a un ragazzo, così come alla persona che amiamo, non sia necessario ricevere ogni giorno - nella cadenza degli stessi gesti - un'acqua nuova di rispetto, di ripetizione di cose già dette che però prendono un significato nuovo perché vengono comprese sempre meglio? Ciascuno di noi, a maggior ragione se si tratta di una persona in crescita, ha bisogno che si ripetano i medesimi concetti ogni giorno: e non è la ripetizione in sé, che aiuta chi cresce ad interiorizzare i concetti, ma il fatto che sono ripetuti con garbo sempre uguale, con rispetto sempre vivo, con delicatezza rinnovata, con pazienza e con amore... Arriveranno così ad avere una motivazione al bene INTRINSECA, profondamente INTERIORIZZATA e fatta propria. Si muoveranno e si commuoveranno verso il bene, perché saranno stati nutriti di bene. Lo ricercheranno e lo riconosceranno. E saranno capaci di fuggire e di difendersi da soprusi e relazioni tossiche.

Il quarto ed ultimo pensiero: i bambini e i ragazzi, fino ad un certa età sono capaci di perdonare quasi tutto agli adulti e ai coetanei. Questa capacità dipende dal grado di cura che hanno ricevuto: se hanno sviluppato un attaccamento sicuro, se sanno cioè (dopo esperienze quotidiane ripetute) di potersi fidare, acquisiscono la capacità cioè di ripartire da zero, di fare reset e di ricostruire un'immagine rinnovata della persona che può averli feriti. Quando un bambino di due anni è stato sgridato la sera prima, al mattino si sveglierà di nuovo cercando l'abbraccio della persona che lo ha sgridato: ripartono con il candore di chi sa di non avere nulla se non le cure di qualcuno che si occupa di loro. Rendiamoci conto di questo, quando facciamo gli offesi, quando pretendiamo delle scuse, senza essere capaci noi per primi di chiedere perdono. Impariamo prima a vedere i nostri inciampi, i nostri limiti, le nostre resistenze. Anche i bambini ci ripetono mille volte le cose: ci ripetono con e senza parole di avere bisogno di noi, ci ripetono che desiderano il nostro sorriso, il nostro sguardo buono, ci ripetono ogni giorno che sono lanciati nel futuro pieni di vita e che hanno bisogno del carburante dell'amore per poter prendere il volo con sicurezza. E nonostante noi adulti spesso sembriamo sordi e duri di cuore, loro continuano a ripetere la domanda. 

Bona repetita  iuvant: Le cose buone ripetute, giovano.


[2/1/23] CINQUE MINUTI

Il 22 dicembre 1849 Dostoevskij rischiò di essere fucilato, a causa di una condanna a morte ricevuta qualche mese prima dello stesso anno. Non voglio stare qui a raccontare il perché, ma oggi vorrei prendere spunto da questo fatto per condividere un pensiero. La revoca della condanna a morte arrivò quando a Dosteovskij sarebbero mancati ancora solo pochi minuti, prima di essere fucilato*: il fatto fu così denso di emozioni, che lo scrittore decise di dedicare un passaggio ne "L'idiota" per provare a tradurre in parole quello che visse in quella manciata di minuti. Se sapessimo che abbiamo ancora 5 minuti della nostra vita, da vivere, dove porremmo il pensiero? Come li utilizzeremmo? In 5 minuti si possono fare molte cose. Un abbraccio, lungo 5 minuti; uno sguardo posato nello sguardo delle persone che amiamo, dedicando a ciascuno almeno qualche decina di secondi; in 5 minuti possiamo scrivere un biglietto, lasciando per iscritto le parole per noi più importanti da consegnare a chi per noi può essere così importante da riceverle; in 5 minuti possiamo cantare una canzone, fischiettare una musica che ci rappresenta; in 5 minuti possiamo ripensare alla nostra vita, e vedere quanto abbiamo amato e se abbiamo amato abbastanza rispetto a quanto potevamo fare; in 5 minuti si può piangere, si può ridere...

Ogni giorno abbiamo più di 5 minuti per stare con i nostri figli, e con la persona che amiamo. Se li abbiamo, auguro a tutti noi, in questo nuovo anno, di farne tesoro, di viverli con l'intensità più alta della vita, perché sia davvero tempo kairòs, occasione preziosa, momento da non lasciarci sfuggire. 

E se non li abbiamo, questi 5 minuti, auguro a tutti noi di poter attraversare oceani e spezzare catene, per poterli avere.

Educare è vivere insieme un cammino che i nostri figli non possono fare da soli.

* sappiamo che la comunicazione della grazia arrivò il 19 dicembre, in realtà, ma i condannati lo scoprirono solo la mattina stessa, sul patibolo.


[21/12/2022] TU MI VEDI, DUNQUE SONO

Alcuni giorni fa ho avuto l'opportunità di fare un breve tratto di cammino come sostituta docente di sostegno a due bambini di una scuola statale. E' stato un modo per vedere confermate alcune convinzioni che già avevo avuto modo di verificare, negli anni passati, mediante altre circostanze: non si tratta di conferme del tutto rassicuranti, e spiegherò subito il perché. 

Ho avuto accesso a questa esperienza perché ho presentato la famosa M.A.D. (Messa A Disposizione), che può essere fornita al plesso scolastico letteralmente da chiunque: mettersi a disposizione non significa per forza avere titoli di studio inerenti al campo dell'insegnamento. Infatti la scuola decide di contattare coloro che presentano MAD quando tra i nominativi dei professionisti che rientrano nelle graduatorie non c'è disponibilità: significa in soldoni che chi ha le qualifiche per fare l'insegnante delle varie discipline di studio o per fare l'insegnante di sostegno non è il solo che può arrivare in classe con i bambini. Può arrivare anche qualcuno che ha tanta buona volontà ma nessuna formazione.

E quando si trova un bambino che ha bisogno del sostegno, vuol dire che c'è ancora più bisogno di competenze certificate (ovvero titoli di studio specifici) e di umanità (ovvero una capacità di stare davanti al bambino in apertura e in ascolto, avendo risolto i propri problemi personali). Eppure.....eppure nel mondo della scuola non sempre si ha questo lusso. Non dovrebbe essere un lusso, ma un diritto: di avere accanto qualcuno che sa maneggiare con cura chi è più fragile, e che proprio per questo ha ricevuto una certificazione del suo bisogno specifico.

In una classe con grandi numeri, ahimè, è inoltre quasi impossibile (se si deve stare ai ritmi imposti dal sistema) coltivare una relazione personale con ciascun bambino, con ciascun ragazzo: da questo punto di vista sono privilegiati i bambini che hanno un docente quasi del tutto dedicato (anche se è politicamente più corretto dire che il docente di sostegno è su tutta la classe...). Perché in questo modo ha più speranze di essere visto, ascoltato, accompagnato e conosciuto personalmente

Ma tutti gli altri? In una classe da 27-28 bambini, come fa un unico docente a donare a ciascuno quello sguardo che vede, che osserva, che ascolta, che intuisce, che contiene, che sostiene....che genera?

Nella vita, ogni incontro che facciamo, con qualcuno che sta nel ruolo di educatore, evoca in ultima analisi quel primo sguardo generatore che si è posato su di noi quando siamo venuti al mondo; in altre parole: cerchiamo un volto materno, una fermezza paterna, speriamo che chi ha la responsabilità della nostra custodia o della nostra istruzione sia anche in qualche modo rappresentativo di chi si prende cura di noi, che sia in qualche modo genitore, cioè generativo sulle nostre giornate. 

Nei pochi giorni che ho speso in questa scuola, ho incontrato sguardi di docenti che cercavano in ogni modo di essere tutto questo per i bambini, ma anche docenti che minimamente non incarnavano nulla di tutto ciò. E questo...è tempo perduto per i bambini. E' tempo che si riempie di sfiducia nell'adulto e si popola di altro: di album di figurine, di manga giapponesi (peraltro con contenuti non del tutto appropriati all'età), di bianchetti forati per far uscire il liquido su un tovagliolo, di dinamiche prevaricatorie da parte di bambini meno educati verso quelli più fragili o remissivi...

Lo sguardo dell'adulto non c'era più. Nicolodi direbbe che non c'era più la placenta psichica.

Questo sguardo, sguardo d'amore e di contenimento, sguardo che fa crescere e che dice "Sono qui per te, ti vedo, non mi sei indifferente, voglio accompagnarti in un tratto di cammino come avviene nella gravidanza", se manca costituisce una carenza così profonda da mettere in discussione la certezza - che il bambino dovrebbe avere - di essere voluto, di non essere invisibile per l'insegnante.

Tu mi vedi, dunque sono: tu insegnante, tu educatore, tu istruttore sei chiamato a vedermi, a vedermi a partire dallo sguardo degli occhi, per arrivare ad uno sguardo molto più profondo, complesso, globale. Attraverso il tuo sguardo, che non mi consente di mettere una barriera di astucci e astuccini per farmi i fatti miei mentre spieghi, mi aiuti a donarti la mia attenzione preziosa, mi incoraggia a fidarmi di te, dà senso al mio tempo speso a scuola, mi accompagna a trovare delizioso il conoscere e a volerne sempre di più.

Grazie ai docenti che si impegnano per questo. 


[3/12/2022] MOVIMENTO CHE RESPIRA

Oggi si è concluso un piccolo tratto di cammino presso gli spazi della Biblioteca del Comune di Traversetolo (PR). Un piccolo pezzo che ho donato (sì, lavoro gratis, anche) ai bambini e ai loro genitori per poter capire in concreto cosa si intende quando si parla di Psicomotricità Educativa. Essendo formata alla scuola di Bernard Aucouturier, naturalmente io mostro questa fettina di psicomotricità, sempre spiegando che questo è uno dei metodi possibili, uno dei cammini che si possono proporre, nel caso i bambini e i genitori che arrivano sentano che fa per loro. L'onestà sempre al primo posto: nessuna magia, nessuna garanzia di risoluzione di problemi, ma una opportunità come possono esservene tante. Ogni sapere che incontra un bambino, che sia un metodo, che sia un approccio, credo debba sempre essere incarnato da chi lo propone con infinita umiltà: non è la verità in tasca. 

E cosa posso dire di questo piccolo sentiero tracciato in Sala Colonne, a Corte Agresti? Tra corse, salti, risate, spinte ai cubi, discese piene di energia su scivoli morbidi e grandi, casette costruite con poco materiale e tanta voglia di giocare, tra disegni e storie narrate, sono stati tre sabati colmi di sguardi, attesa, e curiosità. 

Vedere i bambini che trovano uno spazio dove correre al massimo delle loro energie, dove possono saltare in sicurezza dal basso verso l'alto arrivando sul morbido, rotolare e rotolare, provare le rotazioni sui vari assi, è sempre un momento di grande stupore e gratitudine per me. Ai bambini non va proprio insegnato nulla, semmai siamo chiamati a supportare, sostenere e incoraggiare i movimenti spontanei. Siamo chiamati con competenza ad assisterli nella loro necessità viscerale di sperimentare e sperimentarsi in un corpo che si muove e che muove, e che si e-moziona.

Il movimento spontaneo ci dice che non abbiamo un corpo, ma siamo corpo, in tutto: anche ciò che consideriamo appartenente alla (misteriosa) sfera cognitiva e razionale, è fatto di corpo, di cellule nervose, di sangue, di ossigeno, etc. E' corpo anche il pensiero, nella misura in cui chiede di essere in-carnato, espresso a tutti i livelli: con il linguaggio verbale, con il linguaggio non verbale, con la musica, il disegno, la pittura, la danza, e via via discorrendo...

Il movimento spontaneo dei bambini respira, e ci fa respirare: ci allarga i polmoni, ci dilata il cuore, ci allarga la mente, ci chiama ad imparare un linguaggio che parlavamo da bambini e abbiamo forse dimenticato: il linguaggio del gioco e del movimento, che come una lingua madre, continua a parlare dentro di noi e ci consente di dialogare con i nostri figli.



[30/11/2022] IL VERO METODO E' SEMPRE DIVERSO...

Questa mattina sono andata da un medico fisiatra (l'età avanza, e devo cercare di allontanare sempre di più sul calendario la data in cui dovrò per forza accettare una protesi al collo del femore). Questo medico lavora in modo sperimentale: procede per prove ed errori. Già: prova, mi mette uno spessore sotto un tallone, poi lo mette anche sotto all'altro, poi vede se divento più dritta, poi mi chiede di toccarmi la punta dei piedi con le mani, e via così, finché non pensa di avere trovato un punto di partenza per dare al mio corpo altri mesi, nella speranza - scientifica - che quella nuova ipotesi possa dare il risultato sperato. 

Perché racconto questo? Perché questo medico procede in modo davvero scientifico: pone delle ipotesi da un lato, e dall'altro fa delle prove (nel mio caso ampiamente sostenibili), anche con la possibilità di sbagliare (come è accaduto un paio di mesi fa, quando mi aveva messo uno spessore che non andava bene, sotto un piede). Qualcuno si potrà scandalizzare: il medico, che agisce in modo scientifico, è ormai investito da una totale fiducia quasi che sia portatore di una Verità Immutabile. Abbiamo smesso di credere a Dio, eppure crediamo nella dea Scienza, tutta fatta da esseri umani che nella storia delle scienze positive, dagli albori come oggi, avanzano per tesi, ipotesi, prove ed errori, tentativi, ricerche, riprove... Un bel libro che descrive il cammino che la scienza ha fatto per scoprire i recettori degli oppiacei nel corpo umano, e quindi poi l'esistenza dei cosiddetti oppiacei naturali, è "Molecole di Emozioni", di C.B. Pert. Si legge benissimo e parla proprio di questo. Dalla scienza che vuole tutto misurare, confinare in un numero, in una formula, noi pretendiamo esattezza, verità, possibilità di ripetere un protocollo per ottenere un sempre uguale risultato. Le scienze positive ci hanno illuso, nei loro primissimi anni di vita, di poter arrivare a questo.

Ed ecco il fraintendimento. Sono spuntate come funghi tante Scienze, con altrettante facoltà: Scienze Biologiche, Scienze Ingegneristiche, Scienze Astronomiche e....persino Scienze dell'Educazione, Scienze Filosofiche, Scienze Pedagogiche. Il che, è stato davvero un fraintendimento che ha portato non pochi grattacapi: come si può far quadrare entro un protocollo preconfezionato, in attesa di un risultato sempre uguale, il cerchio sempre diverso della persona che mi trovo davanti, unica e irripetibile, figlia di due genitori che portano vissuti e storie completamente nuove nelle loro particolarità? Semplificando: come ci si può illudere che vi sia un metodo inteso come protocollo da seguire per ogni bambino, per ogni famiglia, per ogni classe, nell'attesa di poter ottenere risultati in termini di prestazioni, di comportamento, di sviluppo neurofisiologico, psicomotorio, spirituale e affettivo-relazionale?

La questione è sfuggita di mano a partire dall'utilizzo erroneo del termine METODO usato come sinonimo della parola PROTOCOLLO o, peggio, RICETTA. Ai genitori abbiamo dato in pasto elenchi puntati di azioni da compiere per risolvere i loro problemi con i loro bambini, agli insegnanti abbiamo sventolato davanti al naso la carta magica dei segreti del bravo insegnante che non si fa mettere i piedi in testa, per farli avanzare nel cammino scolastico con le vesciche ai piedi e la carota appesa del "saper tenere le briglie" della classe... 

La parola metodo deriva dal greco, μέϑοδος (methodos), dall'unione del prefisso μετα (meta) = oltre + il sostantivo ὁδός (odos) = strada. Pertanto, metodo significa letteralmente "strada attraverso cui si va oltre"  e anche "ricerca, indagine".

Nel linguaggio corrente si parla di metodo anche come procedura, procedimento, oppure anche (sic!) come STRATEGIA. Ma come? La parola strategia arriva anch'essa dal greco στρατηγία (lat. strategĭa) e significa "comando dell'esercito; arte militare", der. di στρατηγός: v. stratego. Parliamo quindi di educazione molto spesso appellandoci al linguaggio militare: quasi che davvero entrare in contatto con i bambini sia una guerra, una battaglia quotidiana, un esercizio di potere, di forza, di dominio... una sete di conquista e sottomissione.

Il vero metodo E' SEMPRE DIVERSO perché osserva chi ha davanti, calibra la relazione, continuamente riguarda tutti i saperi appresi nel campo dell'educazione e della pedagogia, della psicologia e della sociologia, della fisiologia e dell'endocrinologia, della filosofia e della kinesiologia, dell'antropologia e dell'etologia, della letteratura e della spiritualità. Tutto questo per avere un briciolo di terreno di conoscenze su cui posare il passo cercando di incontrare l'unicità dell'essere umano che in quel momento sto scoprendo nello sguardo di un bambino, di un ragazzo, di un genitore che mai prima di oggi si era trovato su questa terra, e sul nostro cammino di educatori...

Fermiamoci a riflettere: cosa desideriamo dal nostro cammino come genitori, come insegnanti, come educatori? Vogliamo un protocollo, una ricetta, o addirittura una strategia? Ma questi bambini, questi ragazzi, desideriamo incontrarli e amarli, oppure guardarli come operazioni matematiche da risolvere con protocolli e procedure? vogliamo cuocerli come panini al grado di cottura che più ci piace, secondo una ricetta? O, peggio, vogliamo strategie per combatterli come nemici? 

Pensiamoci.


[29/11/2022] PERCHE' UN BLOG? 

Ho deciso di dedicare uno spazio alle riflessioni che arrivano ad incontrarmi sul cammino, uno spazio che possa dare un aspetto grafico (le parole scritte) a quello che rimarrebbe custodito solo dalla mia mente. 

Desidero condividere riflessioni che forse (spero) potranno essere utili per chi leggerà. In un'epoca dove si fatica a pagare un professionista e invece con un click si spendono volentieri molti soldi per oggetti e vestiti, credo che seminare occasioni di incontro anche attraverso pensieri scritti, possa essere un mezzo per sensibilizzare tutti coloro che si occupano di bambini sulla delicatezza e l'urgenza della riflessione su temi educativi. 

Perché? Perché tutti sono esperti di educazione, e solo pochi hanno gli studi e i titoli per farlo. Se si ha un problema di salute, si va dal medico. Se si ha una difficoltà psicologica, si va dallo psicoterapeuta. E come mai se si vuole approfondire temi educativi, si pagano prestazioni e si cerca aiuto da chi di professione si occupa di altro? Da qui stasera voglio partire. 


Chi sono: Valeria Voli, sposata e mamma di due bambine. Ho una laurea Magistrale in Scienze Pedagogiche, una Laurea Specialistica in Scienze delle Attività Motorie preventive e adattate alle disabilità, un diploma di Psicomotricista.

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